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2009 dal 5 al 12 Aprile

8a SETTIMANA MONDIALE della Diffusione in Rete Internet nel MONDO de

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dai GIORNALI di OGGI

L'agguato di NETTUNO. I carabinieri: questo non è razzismo, ma stupidità e sballo

"Cosparso di benzina solo per divertirci"

2009-02-02

Ingegneria Impianti Industriali

Elettrici Antinvendio

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

                                         

 

 

L'ARGOMENTO DI OGGI

 

L'agguato di NETTUNO

Il mio pensiero

Quanto avvenuto non può essere considerato solo conseguenza di irresponsabilità giovanile alla ricerca dello sballo.

Dare fuoco ad una persona è inconcepibile ed assurdo, e fra l'altro è molto più colpevole di chi commette una rapina per mancanza di soldi per vivere o per averne di più per fare la bella vita.

Chi brucia un'uomo non è degno di essere chiamato uomo, non può accampare nessuna scusante, neppure la droga, perché chi si droga sa che può commettere un delitto.

Chi si droga e guida un'auto è molto più colpevole di chi spara con una pistola con la quale potrebbe sbagliare a colpire il bersaglio, mentre chi guida un'auto è come se sparasse con un bazzuca od un cannone contro una persona che sta a qualche metro.

Chi poi versa della benzina su un povero Uomo indifeso, buono da non fare male ad una mosca come sono gli Indiani, disteso su una panchina a cercare di addormentarsi nella speranza di dimenticare spasmi di fame e brividi eterni di freddo, cercando di ripararsi con un cartone, è peggio che sparare con un cannone.

E poi non c'è nessuna attenuante, perché una tanica di benzina non la si porta legata alla cintola come una pistola, che colui che la porta estrae per difendersi, una tanica la si deve riempire per forza con l'intenzione di fare quello che si è poi fatto, e non è facile averla ad un distributore. Poi dopo che si è cosparsa la vittima gli si da fuoco volutamente accanitamente.

Che dire poi dell'aggravante di essere in tanti contro un'inerme indifeso che annebbiato ed indebolito dal freddo e dalla fame è circondato da un branco di assassini assetati di sangue.

Né è accampabile l'attenuante di essere incensurati, che potrebbe valere per un fatto fortuito e non estremamente volontario come è questo, né il fatto di essere di buona famiglia, perché la famiglia non la vogliamo colpevolizzare, quando queste cose dipendono al 90% dall'insieme degli insegnamenti che vengono da un mondo fatto di immagini ed esempi di arroganza, violenza, sopraffazione, arrivismo scaltro e furbesco, delitti, soprusi, violenze gratuite come questa.

Nossignore costoro si meritano l'ergastolo per quello che hanno fatto, ovvero tentato omicidio volontario a scopo di persecuzione e divertimento, ergastolo anche per le immense sofferenze che procurano a quel Povero Indiano, che se si salverà resterà sfigurato e invalido per tutta la vita, non potrà più riprendere sembianze umane, e nessuno più gli ridarà lavoro, moglie, figli, famiglia.

Ecco perché costoro si meritano l'ergastolo, per quanto hanno già fatto e per quante sofferenze non più rimarginabili procureranno ancora.

Questo non significa che non potranno pentirsi, ma prima di tutto davanti a Dio dovranno pentirsi la coscienza, poi dopo trent'anni, forse se pentiti veramente, la giustizia potrebbe riesumare il caso della loro colpe, eventualmente riabilitarli alla vita civile, sempre però dopo però aver scontato la giusta pena, ma oggi no, in alcun modo, senza scusanti ed attenuanti possono essere perdonati, perché il perdono richiede pentimento serio, ed il pentimento matura con il tempo e la sofferenza.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

 

       

 

CORRIERE della SERA

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2009-02-03

È gravissimo l'indiano bruciato a Nettuno

Sing Navte sarà operato venerdì. I medici: "Al 60% non ce la farà". Visita di Schifani, gli ha promesso un lavoro

Immigrato picchiato e bruciato a Roma. Fermati tre giovani, uno è minorenne (1 febbraio 2009)

Il luogo dove l'indiano è stato bruciato (Ansa)

Il luogo dove l'indiano è stato bruciato (Ansa)

ROMA - "Abbiamo valutato la percentuale di capacità di sopravvivenza del paziente, al 60% non ce la farà". È pessimista il primario del centro ustioni dell'ospedale S. Eugenio di Roma Paolo Palombo sulle condizioni di Sing Navte, l'indiano 35enne aggredito e bruciato sabato notte nella stazione ferroviaria di Nettuno. "Venerdì mattina sarà operato e saranno sostituiti i tessuti in necrosi con altri prelevati dai cadaveri provenienti dalla banca dei tessuti - ha spiegato Palombo -. Questa pratica riduce il processo infettivo".

VISITA DI SCHIFANI - L'uomo ha ricevuto la visita del presidente del Senato Renato Schifani, che gli ha promesso un lavoro. "Abbiamo avuto la possibilità di approfittare di un suo momento di lucidità e gli abbiamo dato non solo la nostra solidarietà ma anche la promessa di un lavoro per tirarlo su e aiutarlo a reagire a questa grandissima sofferenza e perché possa ritrovare quella casa che ha perso" ha detto Schifani. Intanto continua la polemica politica e l'Italia dei Valori, per bocca del deputato Fabio Evangelisti, chiede al governo di riferire alla Camera sulla vicenda.

RICONOSCIMENTO - Apprendendo la notizia che i suoi aggressori sono stati individuati e fermati, il 35enne si è detto felice. "Sì, sono loro. Sono i tre che mi hanno aggredito e dato fuoco" ha detto Navte dal letto d'ospedale, vedendo la foto dei tre fermati, che hanno ammesso di aver agito con l'obiettivo di divertirsi. I carabinieri hanno passato diverse ore a interrogare sospetti ed effettuare perquisizioni. Quando il branco era praticamente circoscritto, hanno portato all'immigrato diverse foto, anche di persone che nulla avevano a che fare con quanto avvenuto la notte prima alla stazione. Sing Navte non ha esitato e ha indicato i loro volti. Il raid sarebbe stato effettuato in due riprese: prima l'aggressione e gli insulti poi, dopo essersi allontanati per fare il pieno all'auto, l'idea di fare "uno scherzo al barbone". Tornati nella stazione hanno dato fuoco all'immigrato e non riuscendo a spegnere le fiamme sono scappati.

I TRE FERMATI - I due maggiorenni responsabili dell'aggressione sono ancora in isolamento e detenuti in celle separate nel carcere di Velletri, in attesa della convalida dell'arresto. "Sono teste vuote che non hanno neanche l'alibi ideologico per motivare le loro azioni - dice il direttore dell'istituto Giuseppe Makovec -. Sono due giovani qualunque. Il ventenne è diplomato, entrambi hanno un lavoro. Uno dei due lavora in un call center, entrambi guadagnano tra i 7-800 euro al mese. I loro genitori sono persone normali, che lavorano". Per quanto riguarda il terzo fermato, minorenne, il suo avvocato Ciro Palumbo ha negato che il ragazzo abbia confessato la propria responsabilità: "Nell'interrogatorio avvenuto in mia presenza il minorenne non ha riferito nulla sullo svolgimento dei fatti, ma ha solo risposto a domande su come ha trascorso la nottata e le persone che ha incontrato". Il minore, che ha un patrigno tunisino, è detenuto nella struttura di prima accoglienza di via Virginia Agnelli. Il suo legale ha detto che non si è trattato di un episodio a sfondo razzista.

SENZA CASA E LAVORO - Sing Navte, 35 anni, da due giorni aveva perso il suo posto letto in una struttura di accoglienza per senzatetto di Roma. Così aveva trovato una soluzione: prendere dalla stazione Termini l'ultimo treno per Nettuno, dormire sul treno, scendere alla stazione per scegliersi una panchina dove passare la notte. Sing, senza genitori, solo una zia in India alla quale manda di tanto in tanto dei soldi, non lavorava da quattro mesi. In Italia però era arrivato cinque anni fa: prima faceva dei lavoretti saltuari, soprattutto il manovale, ed era riuscito per un po' a permettersi un letto e un tetto a Lavinio, sul litorale romano. Lo sportello sociale di Anzio e Nettuno ha lanciato una raccolta fondi per Navte.

02 febbraio 2009(ultima modifica: 03 febbraio 2009)

 

 

 

2009-02-02

L'agguato di NETTUNO. I carabinieri: questo non è razzismo, ma stupidità e sballo

"Cosparso di benzina solo per divertirci"

Il racconto del minore: "Volevamo vedere se durava. Non importava se era romeno o negro".

Uno dei fermati ( Mario Proto)

Uno dei fermati ( Mario Proto)

Le loro serate le trascorrono tutte così, tra alcol e droga. Un sorso di vodka e una canna, una birra e un'altra canna. Sabato notte, le 4 erano passate da poco, hanno deciso di provare qualcosa di nuovo. Ora dicono che l'idea gli è venuta per caso. "Se semo inventati 'sta goliardata" ha ripetuto ai carabinieri F.S., il sedicenne. Gli altri sono più grandi, Francesco B. ha 28 anni, Gianluca C. 19. Quando li hanno portati in caserma hanno cercato di fare i duri, di negare anche l'evidenza. "Teste vuote " li ha definiti uno degli investigatori che ha partecipato all'interrogatorio. Uno scherzo, "n'idea pe' divertisse un po'", questo è stata l'aggressione al barbone indiano. Di idee sembrano averne davvero poche i tre ragazzi fermati a Nettuno.

E pare siano lontane dalla politica, da possibili derive razziste. Non hanno un lavoro fisso, non sono tifosi, non sembrano avere alcun vero interesse. Passano il tempo vagando in auto, spesso sbronzi, la testa annebbiata dal "fumo". Non hanno precedenti penali, ma fanno una vita da sbandati. L'altra sera erano stati notati dai giovani che frequentano il borgo vecchio proprio perché continuavano a bere, la targa della loro Peugeot 206 era finita tra le evidenze di una gazzella che faceva la ronda nella zona. I tre erano insieme come al solito, su di giri. "Stavamo a cerca' un'emozione forte, qualcuno che dorme per strada. Volevamo fa' un gesto eclatante" ammette il ragazzino quando capisce che di lui e degli altri due sanno già tutto. La madre lo aspetta fuori, avrà meno di quarant'anni. Vivono ad Ardea, forse neanche lei sa spiegarsi come mai abbia amici così grandi. I genitori degli altri stanno in un angolo, parlottano con l'avvocato. Impiegati, operai, gente per bene che ai figli ha sempre cercato di non far mancare nulla. E loro alla fine si sono annoiati anche di questo. "Non c'è razzismo — afferma convinto il comandante provinciale dei carabinieri Vittorio Tomasone — ma solo stupidità e sballo che li ha portati a compiere un gesto atroce". Davanti agli investigatori il ragazzino è ormai inarrestabile, racconta anche i dettagli. "Avevamo bevuto tanto e c'eravamo fatti le canne. Era tardi e stavamo ancora girando in macchina. Cercavamo un barbone, non doveva essere per forza uno straniero. Se era romeno o negro non ci fregava niente. Siamo passati dalla stazione e abbiamo visto uno sulla panchina".

Entrano e cominciano a prenderlo in giro. "Dacce i soldi...". Lo insultano. Gli mettono anche le mani addosso. Pugni, qualche calcio. Poi se ne vanno, arrivano al benzinaio. E in quel momento la serata svolta. "Abbiamo riempito una bottiglia di benzina e abbiamo deciso di tornare indietro. Siamo entrati in due, la macchina aveva il motore acceso ". Lo spruzzo di vernice per accecare l'indiano, la benzina cosparsa addosso, la fiammella che si accende, i vestiti che prendono fuoco. Ammette il ragazzino, ma non mostra alcun segno di ravvedimento. Non sembra addirittura rendersi conto della gravità di quello che hanno fatto. "Volevamo vedere quanto durava, ma poi pensavamo di spegnerlo". Lo dice proprio così, come fosse un gioco. Crudeltà disumana e infatti non hanno fatto proprio nulla per aiutare il barbone, nonostante lui dica che hanno "cercato di spegnere le fiamme e invece c'è riuscito da solo". Non è vero. C'era un testimone che ha chiamato il 112 e poi ha soccorso l'indiano quando era riverso in terra. I tre erano già in fuga. Lontani, ma non troppo per i carabinieri di Frascati che neanche 12 ore dopo li avevano già individuati.

Fiorenza Sarzanini

02 febbraio 2009

 

 

 

 

Assalto all'alba: la vittima è in condizioni gravi ma non in pericolo di vita

Immigrato picchiato e bruciato a Roma

Fermati tre giovani, uno è minorenne

Aggressione a un indiano di 35 anni che dormiva in stazione a Nettuno. Tensioni al corteo antirazzista

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NOTIZIE CORRELATE

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Le reazioni politiche

ROMA - Si sono resi conto della gravità del loro gesto soltanto quando sono stati interrogati e poi hanno confessato ai carabinieri. I tre fermati per aver dato fuoco ad un cittadino indiano sono due giovani residenti a Nettuno, uno di 20 anni e l'altro di 30, e un diciassettenne residente ad Ardea. "L'accusa nei confronti dei tre fermati è di tentato omicidio in concorso. Attendiamo la conferma dell'ipotesi accusatoria da parte della magistratura di Velletri per il trasferimento in carcere dei maggiorenni e al centro di prima accoglienza di Roma per il minorenne".

IL MOTIVO - Così il colonnello Rosario Castello, comandante del Gruppo di Frascati che insieme con il maggiore Emanuele Gaeta, comandante della Compagnia di Anzio ha svolto domenica le indagini e gli interrogatori sulla vicenda della brutale aggressione al cittadino indiano nella stazione di Nettuno, individuando in poche ore i tre aggressori. "Uno dei fermati - spiega il colonnello - ha confermato i fatti". Le motivazioni dell'agguato? "Sabato notte i tre avevano ecceduto con l'alcool e avevano fatto uso di stupefacenti - spiega il colonnello Castello - e in quella situazione hanno pensato di concludere la giornata in quel modo. Non miravano a quel cittadino indiano, sapevano che nella stazione di Nettuno spesso dormivano persone senza fissa dimora e avrebbero preso di mira chiunque si fosse trovato al suo posto". Ma si sono resi conto davvero del loro gesto? "Forse - risponde - quando si sono trovati nella nostra caserma ed hanno capito la cosa si faceva seria, hanno afferrato la gravità di quanto avevano fatto".

LA VITTIMA - È un immigrato di origini indiane di 35 anni, che da poco ha perso il lavoro e dormiva su una panchina del marciapiede del primo binario. L'uomo è stato selvaggiamente colpito, poi cosparso di benzina e dato alle fiamme. Il branco si è scatenato alle 4 di domenica mattina. Gli aggressori hanno selvaggiamente colpito l'uomo, che stava dormendo sulla panchina, con pugni, calci e bottigliate. Poi gli hanno spruzzato vernice grigia sul volto e sul collo, lo hanno cosparso di benzina e hanno appiccato il fuoco. L'uomo si è trascinato per alcuni metri, con i vestiti in fiamme, poi è crollato. I carabinieri, allertati da una persona rimasta ignota che ha telefonato al 112, hanno trovato l'indiano con le gambe già completamente ustionate e gli abiti ancora in fiamme. L'uomo è riuscito a dire di chiamarsi Singh e di avere 35 anni, poi ha perso i sensi per il dolore. E' stato accompagnato dal 118 al pronto soccorso dell'ospedale di Anzio e trasferito subito dopo al Centro grandi ustionati dell'ospedale Sant'Eugenio, con ustioni sul 40% del corpo.

PROGNOSI RISERVATA- Il primario del Centro ustioni del Sant'Eugenio di Roma, Paolo Palombo, ha riferito che l'indiano non è in pericolo di vita: "Il paziente è stato ricoverato questa mattina, proveniente dall'ospedale di Nettuno, con ustioni di terzo grado agli arti inferiori, alle mani, a parte dell'addome e al collo. È stato vittima di una barbarie inqualificabile, perché è stato colpito, da quel che sembra, con una bottiglia alla testa, ed è stato colpito di nuovo anche quando era a terra, cosparso di benzina e dato alle fiamme. Non è in pericolo di vita, ma la prognosi rimane riservata". "È un gesto gravissimo, sul quale esprimo la mia condanna e quella di tutta la città di Nettuno", ha detto il sindaco di Nettuno, Alessio Chiavetta (Pd), 30 anni, uno dei più giovani sindaci italiani, alla notizia dell'aggressione. "Garantire la sicurezza di notte in un territorio vasto come il nostro non è facile. Abbiamo chiesto un aumento di organico delle forze dell'ordine e presto installeremo telecamere di controllo in vari punti della città". Dure parole di condanna anche da parte del segretario del Pd Waltr Veltroni e del sindaco di Roma Gianni Alemanno.

LA VISITA DI ALEMANNO - Nel pomeriggio di domenica, Alemanno è andato a trovare il ferito in ospedale e ha parlato con lui. Riferendo sugli sviluppi delle indagini, ha detto: "Non si esclude che si sia trattato di un nuovo barbaro atto di bullismo provocato dall'uso di alcol e droghe. Sono convinto che in poche ore riusciremo a sapere chi sono i responsabili". Alemanno ha poi aggiunto di aver parlato con l'ambasciatore indiano. "Mi ha ringraziato dell'assistenza e dell'attenzione che stiamo rivolgendo verso l'aggredito. Il sindaco ha anche raccontato di aver chiesto allo straniero come mai dormisse in stazione e non nei punti di accoglienza allestiti dal Comune di Roma. L'uomo gli ha risposto che da poco ha perso il lavoro e non può permettersi un alloggio. "Dobbiamo intensificare - ha detto il sindaco - i punti di accoglienza sul territorio".

LA POLITICA - Il presidente del Senato Renato Schifani bolla l'episodio come "un atto incivile che getta una grave ombra sui consolidati principi della tolleranza ed ospitalità del nostro Paese". Duro è anche il commento del presidente della Camera Gianfranco Fini che parla di "violenza razzista e di teppismo criminale". Violenze come questa, afferma il ministro degli Esteri Franco Frattini, vanno "rigorosamente sanzionate". "Bisogna fare di tutto - incalza il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto - per evitare l'imbarbarimento della nostra società". E simile è anche l'analisi del segretario del Pd Walter Veltroni secondo il quale l'aggressione alla stazione di Nettuno è senz'altro il "frutto di predicazioni xenofobe, di un clima, creato ad arte, di odio e paura".

TENSIONI AL CORTEO ANTIRAZZISTA - Appena appresa la notizia, l'associazione multiculturale Soweto e altri gruppi locali hanno immediatamente convocato, con centinaia di sms diffusi tra i cittadini, un sit-in di solidarietà per l'immigrato aggredito. Questo il testo: "Questa notte a Nettuno un indiano è stato picchiato e gli è stato dato fuoco. È in fin di vita. Nettuno antirazzista si concentra alle 17,30 davanti al Comune. Partecipa e passa parola!". Alla partenza del corteo si sono registrati dei tafferugli proprio alla partenza del corteo davanti al municipio, quando un giovane appartenente a movimenti di destra ha urlato "Pecoroni!" contro i manifestanti. Questo ha prodotto la reazione di alcuni dei presenti, che hanno tentato di avvicinare il giovane: a sedare gli animi ci hanno pensato agenti della polizia di Stato e carabinieri in servizio di ordine. Alla manifestazione sono intervenuti consiglieri comunali di centrosinistra di Anzio e Nettuno, il parroco della parrocchia di San Giovanni che ha portato la solidarietà del vescovo di Albano, Marcello Semeraro, e l'assessore provinciale Aurelio Lo Fazio. La comunità indiana apriva il corteo con uno striscione con su scritto "Ma quale carta per la sicurezza, cittadinanza per tutti".

 

 

 

 

Sicurezza, parla l'ex ministro

Pisanu: "Immigrati, Berlusconi

non subisca gli slogan leghisti"

"Non si tratta con battute da osteria un fenomeno che orienterà i nostri processi sociali per un secolo"

ROMA - "Guardiamo tutto nell’ottica della sicurezza, e con gli occhiali appannati dalla paura. Dalle elezioni politiche in poi, è prevalso un approccio molto emotivo e poco razionale all’immigrazione. Il clima di questi giorni — la tentazione di farsi giustizia da sé, l’odio, il timore—è legato anche alla disinvoltura e alla strumentalità di cui si è data prova. L’immigrazione è un fenomeno che orienterà i processi economici e sociali dell’Europa per un secolo; non lo si può affrontare con l’orecchio teso alle voci delle osterie della Bassa padana. Il sonno della ragione genera mostri. Comportamenti aberranti da una parte. Dall’altra, misure rivolte a tranquillizzare l’opinione pubblica e a giustificare slogan elettorali".

Giuseppe Pisanu, presidente dell’Antimafia, ex ministro dell’Interno, quarant’anni di politica alle spalle, premette di voler evitare polemiche personali, tanto meno con il successore. "Purtroppo si è formata una subcultura impressionante, che rende difficile il lavoro anche a chi, come Maroni, vuole affrontare i problemi inmodo razionale. Si sono create condizioni in cui ci si ritrova come l’apprendista stregone che non riesce a dominare i fantasmi da lui stesso evocati. Quando ero al Viminale spuntò un piano, preparato da un illuminato ministro tra l’altro non della Lega, in cui si parlava di cannonate al peperoncino da sparare contro gli scafisti e missili a testata elastica per fermare le eliche delle barche. Dissi che, se me l’avessero portato, quel piano sarebbe volato dalla finestra insieme con il portatore...". Pisanu non nega la gravità delle premesse. "Esiste un clima emotivo, che eccita gli istinti più bassi, ed esistono fatti inaccettabili, le violenze, gli stupri, che lo alimentano.

La "tolleranza zero" è uno slogan fortunato, che però non vuol dire nulla. Già la tolleranza 0,1 verso l’illegalità sarebbe troppo; ma più d’una volta ho avuto la sensazione che la tolleranza zero servisse a giustificare l’intolleranza. L’intolleranza verso l’estraneo, verso chi la pensa diversamente, appartiene ad altre culture o ha altre convinzioni religiose ". L’impulso a farsi giustizia da soli, sostiene Pisanu, nasce solo in parte dal lassismo, dalle scarcerazioni facili, dal meccanismo delle garanzie che appare troppo indulgente. "La vera battaglia è la prevenzione. Concentrarsi sulla repressione di reati già commessi significa aver già perso. Andrebbe affermato il principio che l’immigrazione clandestina è solo l’aspetto patologico di un fenomeno positivo: se vogliamo mantenere il nostro tasso d’attività, e quindi la nostra ricchezza, con l’attuale trend di nascite dobbiamo accogliere 2-300 mila immigrati l’anno.

Numeri che, tranne forse in questo anno di crisi, coincidono con il fabbisogno di manodopera indicato dagli industriali del Nord. Il paradosso è che l’estremismo antislamico e la speculazione politica vengono alimentati soprattutto dove dell’immigrazione c’è più bisogno". La recessione è destinata a rendere il quadro ancora più inquietante: "Penso alla vicenda penosa dei lavoratori italiani contestati in Inghilterra. Se persino loro sono guardati come concorrenti, cosa può accadere agli extracomunitari?". Ma l’allarme sociale, ragiona Pisanu, non è legato solo al disagio economico. "Stiamo arrivando alla seconda generazione di immigrati. Nella banlieue parigina la rivolta nasce dall’emarginazione sociale e dall’isolamento culturale, più che dalla povertà. Gli attentatori di Madrid problemi economici non ne avevano, così come i terroristi di Londra, esponenti della piccola e media borghesia dell’immigrazione pachistana.

Segnali di rivolta sono sempre più evidenti anche in Italia. Le bandiere cinesi sventolate in via Paolo Sarpi; la ribellione dei giovani nigeriani nel Casertano; le grandi manifestazioni sfociate nelle preghiere in piazza Duomo a Milano, al Colosseo, davanti a San Petronio ". Preghiere da vietare? "Sì. Perché rivelano un progetto pericolosissimo: dare contenuto religioso a una protesta politica. È il meccanismo con cui si sono affermati Hamas e Hezbollah. Va disinnescato. Ma non soltanto con i divieti. La verità è che una politica dell’immigrazione non esiste. Il tema è importante quanto la recessione, ma il Parlamento non vi ha mai dedicato una seduta; si è limitato a piccoli provvedimenti qua e là, sempre sulla spinta di fatti che avevano scosso l’opinione pubblica e sempre sul versante della repressione. In questo clima di intolleranza un atteggiamento razionale, intelligente, umano — penso ad esempio al cardinale Tettamanzi—viene additato come eversivo. E qui la responsabilità politica della Lega non può essere nascosta". Un esempio di irrazionalità appare a Pisanu l’emergenza di Lampedusa. "Gli sbarchi rappresentano appena il 15% dell’immigrazione clandestina.

La forma più povera e debole, su cui si concentra un’attenzione esasperata. Da ministro andai a visitare il centro di Lampedusa: 800 persone vivevano in condizioni indegne, in un posto che ne teneva a stento un quarto. Feci costruire un nuovo centro, e diedi ordine di trasferire in tempi rapidi i nuovi arrivati". Ora si è scelta la via opposta: tutti resteranno sull’isola, in attesa di essere rimpatriati. "Ma per rimpatriare un clandestino occorre prima identificarlo; e tutti o quasi hanno gettato via i documenti. Poi bisogna verificare che non abbia lo status del rifugiato. Infine serve l’accordo con il Paese di provenienza. A Lampedusa molti arrivano dalla Tunisia; e noi con la Tunisia facemmo buoni accordi. Ma non possiamo pensare che accolga in blocco centinaia di clandestini". Per quanti c’è posto a Lampedusa? "Dicono 800. Secondo me, di meno. Oggi sono 1.200. La situazione è esplosiva; può succedere di tutto. Si dovrebbe alleggerire la pressione sull’isola. Invece si accumula tensione, accumulando immigrazione in un solo posto". Che impressione le fa vedere l’esercito nelle vie delle città? "È solo mostrare la bandiera. L’ostentazione apparente, ma non efficace, della forza dello Stato. Ognuno deve fare il proprio lavoro.

Noi abbiamo ottimi militari, che sanno e vogliono fare i militari. Possono essere utili per presidiare obiettivi fissi, zone sensibili. Ma le funzioni di ordine pubblico non le sanno e non le vogliono fare. In tutto il mondo la tendenza è opposta: nella gestione della sicurezza e della pace sociale la professionalità è sempre più elevata". Pisanu è stato il ministro dell’Interno di Berlusconi per tre anni. In cuor suo, il presidente del Consiglio come la pensa? "Se lo conosco, e credo di conoscerlo, Berlusconi la pensa come me. Un po’ per la sua carica di umanità, un po’ per la sua apertura naturale ai problemi del lavoro. Ricordo quando sostenni in sede europea che la miglior arma contro l’immigrazione clandestina sono gli immigrati regolari, e occorrono accordi con i Paesi poveri per scambiare posti di lavoro da noi con maggiori controlli da loro. Berlusconi mi incoraggiò su questa linea. Lui è un uomo senza pregiudizi. Purtroppo subisce il peso condizionante della Lega".

Aldo Cazzullo

02 febbraio 2009

REPUBBLICA

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2009-02-03

IL RETROSCENA. Un tam tam con tutti gli amici e tanti messaggini per vantarsi

Così si è chiusa la notte di follia dei tre giovani che hanno bruciato l'indiano

Nettuno, sms dopo il rogo

"Gli abbiamo fatto la festa"

DAL nostro inviato ANNA MARIA LIGUORI

Nettuno, sms dopo il rogo "Gli abbiamo fatto la festa"

Domenica all'alba i tre ragazzi che hanno bruciato Navtej Singh Sidho, dopo averlo picchiato, hanno avuto anche il tempo e la voglia di mandare messaggi circolari a chi li conosceva. Una riga in romanesco: "Gli amo fatto la festa!". Un'azione crudele e spietata fatta da giovani senza niente di speciale uniti dal vuoto e dalla noia. Lo ha detto a mezza bocca ai carabinieri uno del branco che ha raccontato quasi tutta la storia, mentre gli altri due hanno scelto di stare in silenzio.

E oggi i magistrati della procura di Velletri e i colleghi della procura dei minori interrogheranno i tre aggressori Samuele F. e i due maggiorenni, Gianluca Cerreto 19 anni e Francesco Bruno 29 anni, sono stati portati nel carcere di Velletri mentre il 16enne è nel centro di prima accoglienza di via Virginia Agnelli, a Roma. I più grandi sono ancora in isolamento e detenuti in celle separate in attesa della convalida dell'arresto. "Potrebbero essere nostri figli - dice il direttore dell'Istituto della cittadina dei Castelli romani Giuseppe Makovec - Sono teste vuote che non hanno neanche l'alibi ideologico per motivare le loro azioni. Due giovani qualunque, il ventenne è diplomato, entrambi hanno un lavoro, uno dei due presta servizio in un call center, guadagnano tra i 700 e gli 800 euro al mese. I loro genitori sono persone normali, che lavorano sono dipendenti di aziende di Anzio e Nettuno". I due giovani sono stati visitati dal medico del carcere che "li ha trovati bene, non hanno problemi di salute, è l'unico contatto che hanno potuto avere - ha spiegato Makovec - Nei prossimi giorni verranno presi in carico dall'educatore e dallo psicologo come è nella prassi dell'accoglienza dell'Istituto e sono comunque in attesa di essere interrogati". I tre sono stati fermati con l'accusa di tentato omicidio aggravato.

A dare una indicazione precisa alle indagini, coordinate dal comandante dei carabinieri del Gruppo di Frascati, colonnello Rosario Castello, è stato proprio l'immigrato indiano che ha fornito le parziali descrizioni dei tre aggressori. Sono stati i carabinieri di Frascati che, con un'indagine rapidissima, hanno circoscritto il numero dei sospetti. Poi hanno portato alcune foto a Sing che tra mille sofferenze è riuscito a riconoscerli. Li aveva visti bene: perché l'aggressione è avvenuta in due momenti diversi. Prima gli insulti, poi le botte e la benzina "per vedere quanto tempo ci metteva a bruciare". Poi sono scattate le perquisizioni e gli interrogatori che hanno portato fino ai tre incensurati. La posizione più delicata è quella del minorenne Samuele: basso, robusto, moro, vestito sempre con jeans e giubbotto, e soprattutto molto, molto intemperante. E con un patrigno tunisino. Così gli abitanti di Colle Romito, quartiere residenziale sul litorale romano vicino ad Ardea, lo descrivono. Il ragazzo vive nel comprensorio di villini nel verde da quattro anni, insieme alla madre, italiana, il patrigno e la sorellastra di quattro anni. Un ragazzo talmente esuberante che, spiegano i conoscenti della famiglia a Colle Romito, il patrigno spesso lo punisce severamente anche picchiandolo. E' allora si rifugia nell'amicizia con i "più grandi", come Francesco e Gianluca. Però Samuele fa parte di una famiglia normale, il patrigno fa l'autotrasportatore, la mamma lavora in un ristorante ed il ragazzo la sera spesso rimane in casa per badare a sua sorella. Molti a Colle Romito, una sorta di comprensorio per le vacanze dei romani, lo conoscono: spesso ha fatto delle scorribande nei viali alberati del consorzio con il motorino o per bravate da adolescente durante alcune feste. Ma nessuno qui ricorda di episodi di razzismo o di violenza.

(3 febbraio 2009)

 

 

 

L'indiano bruciato a Nettuno ha riconosciuto in ospedale i suoi aggressori

Aveva perso di punto in bianco il lavoro saltuario, ed è finito a dormire alla stazione

Navtej riconosce il branco

"Sono stati loro a ridurmi così"

di CARLO BONINI

Navtej riconosce il branco "Sono stati loro a ridurmi così"

ROMA - Navtej Singh Sidhu è in fondo a due rampe di scale dall'intonaco scrostato. Al "-1". Oltre una porta scorrevole di alluminio anodizzato e vetro smerigliato su cui mani pietose hanno appeso le immagini di un paradiso montano di ghiacci eterni e laghi immacolati.

È la porta che annuncia il reparto rianimazione dell'ospedale sant'Eugenio. Che separa chi è appeso con un filo alla vita da un lungo corridoio che porta alle cucine e odora di zuppa e varechina. Alle 6 e mezza del pomeriggio, mentre il presidente del Senato Renato Schifani, che lo ha appena incontrato, annuncia in superficie che, se sopravvivrà, avrà un lavoro, nel sotterraneo, Navtej riceve dal cucchiaino nella mano di una delle due infermiere chine sul suo letto del cibo semiliquido. È nella prima delle stanze di sinistra che si aprono sul corridoio di linoleum verde del reparto. Ha capelli neri ondulati tirati all'indietro, segnati da meches bianche. Il busto è nudo, il labbro inferiore deturpato da una larga tumefazione. Respira da solo, senza l'aiuto di macchine, libero di muovere lentamente la testa e il collo, dove pure ha una circoscritta ustione di secondo grado. Perché i medici hanno preferito che le garze che ne mummificano entrambe le mani e il tronco dall'addome in giù non lo costringessero anche in quella parte del corpo che è sopravvissuta allo scempio e lo fa sentire ancora un uomo. La stessa - racconta chi era presente - che ha avuto un sussulto di emozione, accompagnato da una piega della bocca che ricordava un sorriso, quando, al mattino, due carabinieri gli hanno mostrato le foto segnaletiche dei tre di Nettuno. Perché Navtej, come ha fatto, le riconoscesse come quelle dei suoi aggressori e sapesse che la mano dei suoi carnefici non era rimasta ignota.

Navtej è sedato. Per azzerarne i movimenti riflessi e lo stato di tremore indotto da piaghe di terzo grado che si sono mangiate il 40 per cento dei tessuti del suo corpo. "Non sente dolore - dice, abbassando lo sguardo con pudore, Paolo Palombo, il primario - Perché le ustioni profonde hanno distrutto i centri nervosi dell'epidermide". La sua battaglia per sopravvivere è legata alla resistenza del suo cuore, alla capacità di pompare sangue ossigenato lì dove la necrosi dei tessuti minaccia l'infezione. "La prognosi resta riservata" e l'indice di sopravvivenza che, per qualche motivo, negli ustionati misura la percentuale di possibilità di decesso e non il contrario, gli dà oggi una speranza di vita di 4 su 10. "Ha trentacinque anni, è sano, sta reagendo bene alla terapia antibiotica e contiamo ce la faccia", dice Palombo.

Venerdì mattina tornerà sotto i ferri del chirurgo. Un "idorjet", bisturi che pompa acqua a 1500 chilometri orari, ripulirà quelle povere gambe e mani, su cui verrà poi stesso uno strato di epidermide prelevato da cadavere e in questo momento in viaggio dalla banca dei tessuti di Cesena. Su quello, se tutto andrà per il verso giusto, altri ferri, altre operazioni, stenderanno nuova epidermide. Questa volta con un autotrapianto di tessuto prelevato dalle braccia.

Un calvario di cui Navtej è stato informato ieri, mentre con lo sguardo assente osservava chinarsi sul suo letto in segno di solidarietà umana il rabbino capo di Roma Riccardo Pacifici e il presidente del Senato Renato Schifani. Che, come il Paese intero, di quest'uomo continuano a conoscere poco o nulla. Perché poco o nulla lui ha potuto raccontare di sé. Un nome, un'età (35 anni). Un luogo di nascita (il distretto di Moga, nel Punjab). Una religione, quella Sikh. Una famiglia che non c'è. Né in Italia, dove è arrivato clandestino cinque anni fa. Né in India, dove sembra avere soltanto una zia le cui ricerche, ancora ieri sera, erano ancora senza esito.

La storia di Navtej non va oltre gli ultimi quattro mesi. Quelli che, con fatica, ha provato a raccontare ai carabinieri. Un lavoro saltuario da muratore a Lavinio, perso di punto in bianco. Notti da senza tetto alla stazione Termini, fino al limite dell'esasperazione. Fino alla decisione di usare come letto uno scompartimento dell'ultimo treno notturno Roma-Nettuno. Nella comunità indiana non sembra conosciuto o avere amici. O, forse, i pochi amici che ha, oggi hanno paura anche solo a farsi avanti. Né lo aveva mai visto Gurdial Singh, leader della comunità di Nettuno, arrivato ieri fino alla porta del reparto rianimazione per consegnargli l'immagine sacra di Guru Nanak, fondatore della religione Sikh.

Il conforto di Navtej, oggi, sono due infermiere e una donna di 88 anni che divide con lui la stanza del reparto rianimazione. Qualche sera fa, una stufa le ha acceso la vestaglia. La figlia, una donna con i capelli bianchi e dallo sguardo dolce, che fuori dal reparto aspetta di entrare a farle visita, ha per Navtej parole tenere. "Povera creatura, quanto soffre", dice. "Speriamo che non si spaventi come mamma a vedere tutta questa gente fare dentro e fuori". Magari come quel tipo strano e un po' fuori di testa che, a metà mattina, inseguito dagli infermieri, sosteneva di aver scattato una foto con il telefonino "all'indiano bruciato".

(3 febbraio 2009)

 

 

 

 

2009-02-02

La confessione shock dei tre ragazzi che sabato notte hanno dato fuoco a un indiano

Famiglie "per bene", una serata di birre e droghe, la "bravata" per vincere la noia

"Un'emozione forte per finire la serata

così abbiamo acceso quel barbone"

dal nostro inviato CARLO BONINI

"Un'emozione forte per finire la serata così abbiamo acceso quel barbone"

NETTUNO - Racconta Luca, diciannove anni, che la decisione di "farsi l'indiano" l'hanno presa quando restava un euro di benzina sul contatore del self service notturno appena fuori Nettuno. Con Francesco, ventinove anni, e il ragazzino di sedici che era con loro, hanno tirato fuori una delle bocce di birra da mezzo litro che gli avevano fatto compagnia per tutta la notte e quell'euro di verde l'hanno infilato lì dentro.

Sì, proprio lì dentro, anziché nel serbatoio della Twingo nera su cui avevano ossessivamente ronzato, come ogni sabato, tra Anzio e Nettuno, tra Nettuno e Anzio.

Ma sì, "il razzismo non c'entra", "solo uno scherzo al barbone", "una bravata", dice ai carabinieri Luca, il primo e per il momento il solo a sciogliersi in una confessione che i militari ritengono "piena".

Diciannove anni, una vita da studente in una casa dignitosa di "una famiglia apposto" di Nettuno. Uno schizzo di rabbia e adrenalina, "un'emozione per chiudere la serata", per vincere la noia di un sabato sera qualunque e non farla passare liscia a quel tipo dalla pelle olivastra con cui si erano "attaccati" poco prima delle 4 del mattino, quando la Twingo nera aveva raggiunto il piazzale della stazione e Navtej Singh Sidhu aveva avuto la sfortuna di incrociare i suoi passi con quelle tre ombre barcollanti. "Eravamo fatti di alcol e hashish", dice ancora Luca. Ma abbastanza lucidi da provocare un disgraziato. Il primo che capitava. Navtej. Gli si fanno sotto in due. Gli chiedono soldi, lo insultano. Singh li manda al diavolo. Loro girano i tacchi, ma solo per promettere che non finisce lì. Il distributore di benzina notturno è lontano pochi chilometri.

Il lavoretto da fare all'indiano - dice Luca - è un'idea di Francesco, 29 anni. Con la boccia di benzina gli inzupperanno gli stracci che gli coprono le gambe. Con una bomboletta di vernice spray grigia gli imbratteranno il viso. Poi, lo "accenderanno". Così, tanto per fargliela fare addosso. "Perché - giura Luca - l'idea era di spegnerlo subito". L'idea, forse. Perché le cose, come è noto, vanno diversamente. Alle 4 del mattino, quando la Twingo nera torna sul piazzale della stazione, Navtej, sfinito dalla stanchezza, si è già accucciato da un po' su una delle panchine dell'atrio. Dei tre ragazzi, Luca rimane alla macchina. Francesco e il più piccolo entrano nella stazione deserta e gli si avventano contro. Lo "accendono" e si "sorprendono" nel vederlo ridotto a una torcia umana che, gridando, cerca la salvezza verso il piazzale. Scappano. Il tempo di risalire sulla Twingo, rollarsi un'altra canna per calmarsi un po' e andarsene a dormire che ancora non albeggia.

Sabato sera, si erano visti a Nettuno intorno alle 10 (uno dei tre ragazzi vive alle porte di Ardea, paesone dormitorio a pochi chilometri di distanza). Per fare - dice Luca - quello che fanno sempre. Nulla. Per mettere il sedere sulla Twingo, sciogliere un bel tocco di fumo e stordirsi di canne e birre un po' alla volta, tra i pub del borgo vecchio di Nettuno e i baretti di Anzio. Fino a farsi come pigne. E dunque farsi notare, alle 3 e 25 del mattino, quando ormai girano a vuoto come mosche da oltre due ore, da una pattuglia dei carabinieri che incrocia le strade deserte di Nettuno. I tre non vengono fermati, ma i carabinieri annotano la targa di quella macchina che non si capisce dove diavolo sia diretta e per fare cosa. Una circostanza che ignorano, evidentemente, ma che li incastra la mattina di domenica.

Navtej racconta ai carabinieri che i tre che lo hanno prima provocato e quindi gli hanno dato fuoco sono scesi "da una piccola macchina nera". Aggiunge un dettaglio. Uno di loro aveva un giacchetto bianco. Il primo ricordo è corretto. Il secondo, solo in parte. Il ragazzo vestito di chiaro, infatti, non è uno dei suoi aggressori, ma - come scopriranno i carabinieri - quello che, alle 4 del mattino, sul piazzale della stazione lo incrocia mentre è avvolto dalle fiamme e telefona al 118 per dare l'allarme. Interrogato, il ragazzo conferma la circostanza, ma la sua testimonianza si fa vaga quando gli si chiede di ricordare qualcosa degli aggressori o della macchina su cui sono fuggiti. "Non so", dice. Anche se, quando i tre verranno arrestati, ammetterà di conoscerli.

Nettuno, del resto, non è New York. E non è difficile a quel punto per i carabinieri incrociare orari, testimonianze, e una macchina nera che tra le 3 e mezza (l'ora, appunto, in cui la Twingo è stata notata dalla pattuglia e ne è stata controllata via radio la targa) e le 4 del mattino gira intorno alla stazione.

Sono tre ragazzi sconosciuti agli archivi di polizia. Puliti. Li vanno a prendere a casa nel primo pomeriggio, per scoprire "tre famiglie di gente per bene", e case da cui, a quanto pare, non salta fuori nulla dell'armamentario del mazziere da stadio o del violento da marciapiede. Luca confessa a metà pomeriggio nella caserma dell'Arma di Anzio, mentre i suoi due amici, Francesco e il ragazzino di 16 anni, se ne rimangono in silenzio, provando a negare senza troppa convinzione.

Il Paese e la politica tornano ad accendersi e dividersi nel dibattito sul razzismo e la xenofobia. Nel suo ufficio in piazza san Lorenzo in Lucina, il generale Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri di Roma, allarga le braccia e scuote la testa. "Al momento - dice - quel che sappiamo ci consente di escludere una matrice razziale. Il che non rende meno agghiacciante quel che è accaduto. Anzi. Perché se si vuole capire davvero quale è lo sfondo del tentato omicidio di Nettuno, allora bisognerà cominciare a ragionare su quel che accade ai nostri ragazzi. All'uso smodato che ormai fanno di droghe e alcol. A quelle che ne sono le conseguenze".

(2 febbraio 2009)

 

 

L'UNITA'

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2009-02-02

 

Nettuno, non è in pericolo di vita l'indiano bruciato in stazione

Non è razzismo, date retta a Maroni. Per il ministro dell'Interno, che si è fatto intervistare da Il Giornale, la violenza di Nettuno è "inaudita, gratuita, provocata dall'abuso di alcol e droga" ma non ha nessuna "matrice razzista". Non importa che abbia preso di mira un immigrato, un senza tetto, uno degli ultimi. Per Maroni, sembra intuire, poteva capitare a chiunque. Peccato che capiti sempre a loro. Abba a Milano, Emmanuel a Parma, un cittadino cinese a Roma. Sinhg a Nettuno.

Al di là delle analisi spicce di Maroni, per fortuna, Sinhg Navte, il 35enne indiano picchiato e bruciato sabato notte nella stazione di Nettuno da tre giovani che volevano "provare una forte emozione", non è in pericolo di vita. I medici che lo hanno in cura presso il Centro grandi ustionati dell'ospedale Sant'Eugenio di Roma mostrano ancora un moderato ottimismo, ma hanno abbastanza elementi per dire che Singh "non è in pericolo di vita", nonostante abbia ustioni diffuse sul 40 per cento del corpo.

Il branco che gli ha dato fuoco, intanto, ha confessato. B.F., 29 anni, F.S., 16 anni, C.G., 19 anni,Tre ragazzi malati di noia, che per dare una scossa ad un sabato sera senza emozioni hanno pensato bene di prendersela con un immigrato, uno che dormiva in stazione, uno che non ha una casa nè un lavoro. I tre, che secondo la ricostruzione dei carabinieri avevano trascorso una notte "brava" tra alcol e droga, durante l'interrogatorio non hanno avuto remore nel dire che il loro è stato un gesto "eclatante, fatto per provare una forte emozione".

Il ragazzo minorenne ed i suoi amici di 19 e 28 anni, incensurati, e con famiglie di lavoratori alle spalle, tornando a casa la scorsa notte sono passati davanti alla stazione di Nettuno. Qui, hanno insultato e aggredito il senzatetto che dormiva nell'atrio. Poi si sono allontanati e mentre erano al distributore hanno avuto l'idea di fare "uno scherzo al barbone", così come loro stessi hanno detto agli investigatori.Tornati nella stazione hanno dato fuoco all'immigrato, verniciando prima collo e faccia, per far prendere meglio le fiamme, e non riuscendo più a spegnere le fiamme sono scappati. Secondo quanto detto dal generale Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri di Roma, "quanto avvenuto non sembra avere uno sfondo razziale ma con una conseguenza ancor più agghiacciante, visto che secondo quanto accertato i tre volevano chiudere la notte, dopo uno sballo di alcol e droga, con un gesto fortemente eclatante".

Domenica, Nettuno ha voluto esprimere il suo sdegno e la sua solidarietà alla vittima: in centinaia hanno partecipato ad un corteo organizzato dalla comunità indiana di Anzio e Nettuno, dal Prc e dalla comunità Soweto. Immigrati e italiani si sono radunati davanti al municipio per gridare che "Nettuno è anti-razzista", ma non appena il corteo è partito c'è stato uno scambio di insulti, con un piccolo tafferuglio tra i manifestanti e un gruppo di giovani di destra che osservavano dal lungomare e avevano fatto battute contro gli immigrati scatenando la loro rabbia.

Commenta l'episodio anche il leader del Pd Walter Veltroni. "Quello che è successo a Nettuno è gravissimo e suscita in me, come nella stragrande maggioranza degli italiani, rabbia e indignazione. Esprimiamo solidarietà al giovane indiano selvaggiamente picchiato e bruciato e chiediamo che i responsabili di questo crimine siano assicurati al più presto alla giustizia. Episodi di intolleranza criminale come questo sono il frutto di predicazioni xenofobe, di un clima creato ad arte di odio e di paura".

02 febbraio 2009

 

 

 

Dal clochard bruciato ai neri massacrati. Le vittime dell'odio

di Jolanda Bufalini

Abba non aveva ancora compiuto 19 anni quando è stato ammazzato, la mattina del 14 settembre, a sprangate a Milano. Fausto e Daniele Cristofoli, padre e figlio, accusati di omicidio volontario e proprietari del bar dal nome premonitore "Shining", lo inseguirono perché, pare, erano stati derubati di un pacchetto di biscotti. L’assalto contro Abba e i suoi amici fu al grido di "sporchi negri".

Abdul William Guibre detto Abba era italiano ma, originario del Burkina Faso, era un bellissimo ragazzo dalla pelle nera. Suo padre, operaio a Cernusco sul Naviglio, usava dirgli "tu non devi avere paura, sei italiano. Rispetta e sarai rispettato". Andrea Severi invece, è un clochard. Il 10 novembre scorso, a Rimini, dormiva su una panchina quando un gruppo di ragazzi di buona famiglia gli ha dato fuoco. È ancora ricoverato al centro ustionati di Padova. Dovrebbe essere sottoposto al trapianto di pelle.

E' una galleria degli orrori quella in cui si entra ricordando i precedenti dei fatti di Nettuno: spesso si confondono la matrice xenofoba e la bravata notturna di un branco di ubriachi. Il minimo comune denominatore è sempre la stessa feroce stupidità scatenata contro chi è più fragile, indifeso perché è nel sonno, diverso, immigrato, irregolare, solo e fuori dal branco.

A Desenzano sul Garda, per esempio, il 24 ottobre, quando emerse il corpo di Mohamed Chamrani, morto annegato, nessuno pensò a un omicidio. Ma qualcuno aveva visto e le intercettazioni ambientali portarono a scoprire una verità, dissero gli inquirenti, a dir poco sconvolgente: Mohamed era stato picchiato e picchiato di nuovo quando stava cercando di uscire dall’acqua. Uno dei rei aveva parlato con il padre che aveva consigliato: "Non dire niente, non è grave quello che hai fatto".

A Tor Bella Monaca, a Roma, il 2 ottobre 2008 un gruppo di ragazzetti aggredì a pugni un immigrato cinese fermo con i sacchi della spesa alla fermata dell’autobus. In quell’occasione il sindaco di Roma Alemanno, prima ricevette in Campidoglio uno degli aggressori e gli fece una bonaria ramanzina: "Che hai fatto, non pensi a tua madre?". La violenza razzista indossava le divise dei vigili urbani, il 30 settembre a Parma, quando Emmanuel Bonsu Foster , italiano di pelle nera, diciottenne, ebbe il torto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato e fu scambiato per un pusher. È invece uno studente. Inseguito, braccato, ammanettato, picchiato, denudato, definito "negro", trovò la forza di denunciare. I quattro vigili urbani ritenuti responsabili sono accusati di violenza privata, perquisizione arbitraria e odio razziale.

02 febbraio 2009

 

 

 

Critiche unanimi del mondo politico. Veltroni: "Intolleranza frutto di predicazioni xenofobe"

Alemanno: "Prima di lanciare teoremi politici, capire qual è la matrice della violenza"

A Nettuno un corteo di protesta

Tafferugli con militanti di destra

A Nettuno un corteo di protesta Tafferugli con militanti di destra

Il corteo di solidarietà a Nettuno dopo la violenta aggressione all'immigrato indiano

ROMA - A Nettuno è il giorno della rabbia e delle proteste. Dura la condanna da tutte le parti politiche e dalla società civile alla brutale aggressione all'immigrato indiano, unanimi i commenti che esprimono "indignazione", "rabbia" e "necessità di fermare la violenza". Ma, intanto, tra schieramenti opposti monta la polemica sul clima di odio e la responsabilità politica che lo alimenta. E nel tardo pomeriggio ci sono stati tafferugli tra manifestanti e alcuni militanti di destra al corteo di solidarietà organizzato a Nettuno dall'associazione multiculturale Soweto.

Attorno alle 18 alcuni immigrati e italiani si sono radunati davanti al municipio della cittadina. Non appena il corteo è partito c'è stato uno scambio di insulti tra i manifestanti e un gruppo di giovani di destra che avevano fatto battute contro gli stranieri. Le forze dell'ordine sono intervenute per sedare gli animi e il corteo è andato avanti senza problemi. "Ma quale pacchetto sicurezza - Cittadinanza per tutti", "Siamo tutti immigrati", sono gli slogan degli striscioni. I cittadini si sentono colpiti e indignati. Mentre la comunità indiana - circa 5mila persone - che vive e lavora a Nettuno e sul litorale a sud di Roma esprime paura, incredulità e rabbia.

"Siamo gente tranquilla, che lavora in campagna e non ha tempo per fare altro, se non stare con la famiglia", dice Ajit Singh, presidente dei Sikh di Anzio. "In Italia - aggiunge - stiamo molto bene e non ci sono mai stati problemi con la gente". "Questo è un atto di linciaggio, un fatto terribile - accusa Amendeep Huldip, che è venuto in Italia da bambino - Se avvengono cose come queste senza un motivo, e comunque non ci sono motivi che le giustifichino, dobbiamo cominciare a preoccuparci".

Le reazioni politiche. Il leader Pd Walter Veltroni parla di "intolleranza criminale frutto di predicazioni xenofobe, di un clima creato ad arte di odio e di paura". Il sindaco di Roma Gianni Alemanno esprime "rabbia e dolore" ma, quando viene smentito il movente xenofobo dell'aggressione, dice: "Prima di lanciare teoremi politici bisogna capire qual è la matrice di questa ennesima, barbara violenza".

"Se qualcuno pensa che i recenti fatti di violenza, che hanno visto come presunti colpevoli delle persone immigrate - aveva detto in precedenza il sindaco della capitale - possano essere un alibi per ritorsioni xenofobe, si sbaglia di grosso. A nessuno è consentito farsi giustizia con le proprie mani".

Parole criticate da Paolo Gentiloni, Pd, che giudica un "commento allarmante" quel "non ci si deve fare giustizia con le proprie mani": "Il rischio di frasi del genere - attacca Gentiloni - è che il 'reato' contro il quale non bisogna farsi giustizia da soli sia semplicemente quello di non avere casa. O di essere indiano". Rosy Bindi, vicepresidente della Camera, mette l'accento sul fatto che "una società violenta è anche figlia di una politica che alimenta sospetti, paure e istiga all'intolleranza".

Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini: "Certi rappresentanti locali delle istituzioni che seminano sistematicamente germi di eccitazione e di intolleranza devono farsi un esame di coscienza". L'episodio, prosegue Casini, "deve suscitare non solo una immediata condanna, ma una profonda riflessione sul rischio di rigurgiti razzisti che oggi sorgono nel Paese, non bastano le esecrazioni e le solidarietà di rito".

Il presidente del Senato, Renato Schifani, condanna "duramente" ogni forma di intolleranza, "ancor più quando questa si spinge fino a gravissimi atti di criminalità" ed esorta a "isolare, condannare e repimere" episodi come questi. Di fronte a questo caso di "violenza razzista e di teppismo criminale" il presidente della Camera, Gianfranco Fini, parla di "sintomo allarmante della presenza all'interno della società italiana di un senso di disprezzo per la vita umana e della dignità delle persone più deboli".

Anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, deplora la "barbara aggressione". "Non ci sono davvero parole per esprimere l'orrore di fronte agli episodi di violenza di Nettuno e di Roma di questi giorni", commenta il ministro degli Esteri nel governo ombra Piero Fassino, che chiede di "fermare l'abisso della violenza prima che sia troppo tardi".

Anche il vicepresidente del Senato Vannino Chiti esprime "la più ferma condanna" verso episodi così violenti che "lasciano sgomento e indignazione". La Lega condanna l'aggressione e parla di "gesti incivili". "Non è ammissibile - osserva il commissario leghista del Lazio Piergiorgio Stiffoni - per un colore della pelle diverso prendersela con chicchessia". Il sindaco di Nettuno Alessio Chiavetta (Pd) parla di "gesto gravissimo" ed esprime la condanna "di tutta la città".

(1 febbraio 2009)

AVVENIRE

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2009-02-02

2 Febbraio 2009

ORRORE ALLE PORTE DI ROMA

L'indiano bruciato a Nettuno "per noia"

Una notte da sballo. Una delle tante passate da un locale all'altro, a bere fino ad ubriacarsi. Ma l'alcol spesso non basta più: ed ecco l'ecstasy, o la cocaina. I carabinieri non volevano credere alla confessione dei tre ragazzi ''di buona famiglia'', di Nettuno, uno di 16 anni, che la scorsa notte in hanno prima picchiato e poi cosparso di benzina un immigrato indiano di 35 anni riducendolo in fin di vita. "Cercavamo un barbone a cui fare uno scherzo, uno che dorme in strada, non per forza un romeno, un ragazzo di colore, solo uno a cui dare una lezione. Volevamo fare un gesto eclatante, provare una forte emozione per finire la serata"'. Queste le parole agghiaccianti pronunciate dal più piccolo dei tre, il minorenne interrogato nella caserma dei carabinieri di Nettuno che e' crollato e ha confessato.

I militari sono arrivati in poche ore ad individuare il terzetto: gli altri due fermati - a tutti è stato contestato il tentato omicidio aggravato - hanno 28 e 19 anni. Il rogo umano è divampato quasi all'alba su una panchina di marmo della stazione ferroviaria di Nettuno: Sinhg Navte, 35 anni dormiva lì ormai da molte notti. Aveva perso il lavoro e non aveva piu' i soldi per pagarsi un tetto. Secondo gli elementi raccolti dai carabinieri i tre avevano trascorso una notte ''brava'' tra alcol e droga al termine della quale hanno voluto fare, hanno detto durante l'interrogatorio, un gesto ''eclatante per provare una forte emozione''.

Il ragazzo minorenne ed i suoi amici di 19 e 28 anni, incensurati, e con famiglie di lavoratori alle spalle, tornando a casa la scorsa notte sono passati davanti alla stazione di Nettuno. Qui, secondo la ricostruzione dei carabinieri, hanno insultato e aggredito il senzatetto che dormiva nell'atrio. Poi si sono allontanati. Sembrava finita lì ed invece, mentre erano al distributore a fare il pieno all'auto, hanno avuto l'idea di fare ''uno scherzo al barbone'', così come loro stessi hanno detto agli investigatori. Tornati nella stazione hanno dato fuoco all'immigrato e non riuscendo più a spegnere le fiamme sono scappati.

Sulle prime gli investigatori avevano ipotizzato un'azione xenofoba, di matrice razzista che sembrerebbe essere però venuta meno meno. Sarebbe stata, semplicemente, un'azione da ''teste vuote''. Secondo quanto osservato dal generale Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri di Roma, ''quanto avvenuto non sembra avere uno sfondo razziale, ma con una conseguenza ancor piu' agghiacciante, visto che secondo quanto accertato i tre volevano chiudere la notte, dopo uno sballo di alcol e droga, con un gesto fortemente eclatante''.

Il cittadino indiano, intanto, è stato ricoverato all'ospedale S. Eugenio di Roma. Le sue condizioni, in serata, sono migliorate: la prognosi resta riservata, ma non è più in pericolo di vita.

 

 

 

 

L'INDIANO BRUCIATO A NETTUNO

L'allarme di Napolitano: "Tendenze diffuse"

"Siamo dinanzi a episodi raccapriccianti che vanno ormai considerati non come fatti isolati ma come sintomi allarmanti di tendenze diffuse che sono purtroppo venute crescendo. Rivolgo perciò un forte appello a quanti hanno responsabilità istituzionali, culturali, educative perché si impegnino fino in fondo per fermare qualsiasi manifestazione e rischio di xenofobia, di razzismo, di violenza". Lo afferma, in una dichiarazione diffusa dal Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con un riferimento indiretto alla vicenda dell'immigrato indiano gravemente ferito a Nettuno.

 

 

 

 

 

IL PRECEDENTE

Sballo e benzina: 3 mesi fa il caso di Rimini

Settantotto anni in quattro. Con un lavoro alle spalle, una famiglia, degli amici, un bar in cui ritrovarsi alla sera per fare quattro chiacchiere. Giovanissimi e "normali", ma la loro età e la "normalità" non gli ha impedito di architettare un gesto spregevole. La "bravata" di Nettuno ha seguito lo stesso, orribile copione di quella che due mesi fa ha sconvolto Rimini, quando Alessandro Bruschi, Fabio Volanti, entrambi di 20 anni, e i diciannovenni Enrico Giovanardi e Matteo Pagliarani sono stati fermati per il tentato omicidio e incendio ai danni di Andrea Severi. I quattro ragazzi, come i tre di Nettuno, non avevano trovato di meglio per trascorrere una serata che dar fuoco a un senzatetto di 46 anni, che viveva su una panchina della zona Colonnella, nella località romagnola. Il clochard, originario di Taranto, si era svegliato nel sonno in preda alle fiamme, e si era salvato solo grazie alla segnalazione al 118 operata da una ragazza poco dopo le 24.

Nei giorni precedenti al fatto, avvenuto poco dopo le 24 di lunedì 10 novembre, alcuni cittadini avevano sentito commentare in modo positivo al bar in cui i quattro ragazzi si ritrovavano (zona Padulli), episodi di violenza contro emarginati o "diversi". Questa segnalazione, unita ad una seconda riguardante una lettera della targa dell'auto vista sul luogo del tentato omicidio, ha circoscritto le indagini degli inquirenti (guidate dalla Squadra Mobile della Questura ma con la collaborazione di tutte le forze dell'ordine) che dopo 48 ore hanno concentrato le investigazioni sul "gruppo" di amici e il luogo frequentato.

Di lì a poco la confessione, scioccante come quella dei tre giovani che hanno dato fuoco al clochard indiano. Nel caso di Rimini, materialmente, ad aprire la tanica di benzina e ad appiccare il fuoco alla panchina era stato Alessandro Bruschi, di professione barista: occhiali, capelli corti e scuri, la faccia da bravo ragazzo. Matteo, di giorno elettricista, Fabio, universitario, ed Enrico, perito chimico e tirocinante, sono rimasti in auto. I quattro, quella stessa notte sono tornati sul luogo del delitto, dopo aver cambiato auto. Nei giorni seguenti, al telefono commentavano la "bravata": hai visto, ha preso fuoco, come urlava, senza mai pentirsi o provare rimorso per l'accaduto.

Con il trascorrere dei giorni, piuttosto, i quattro erano sempre più preoccupati della piega presa dalle indagini. "Uno spregevole atto gratuito, - lo aveva definito il procuratore generale di Rimini, Franco Battaglino - una "bravata" senza alcuna connotazione ideologica o politica", proprio come oggi è definita da più parti la violenza di Nettuno. In precedenza i quattro riminesi avevano già molestato il clochard con lancio di sassi e di petardi, come hanno confermato durante l'interrogatorio. Dalle intercettazioni telefoniche è emerso che il gesto è stato premeditato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2009-02-02

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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2008-10-31

 

 

 

 

 

 

 

 

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Edito in Proprio e Responsabile STUDIO TECNICO DALESSANDRO GIACOMO

Responsabile Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Riferimaneti Leggi e Normative : Michele Dalessandro - Organizzazione, impaginazione grafica: Francesca Dalessandro

Gent.mo Presidente Napolitano,

è giusto il suo grido di allarme per quanto avvenuto.

Faccia tutto il possibile, per quanto la Costituzione Le consente di Fare, perchè la Giustizia Torni a funzionare in ITALIA, sia per questo che per tutti gli altri delitti e soprusi, con tutti gli strumenti necessari ed indispensabili, dell'informatizzazziona dei processi, della riduzione al minimo dei rinvii, dell'aumento del personale e fondi, ed anche delle intecettazioni necessarie anche:

Per Delitti contro le persone, stupri, violenze a minori, donne, invalidi, indifesi, ecc.

Le mando il mio pensiero.

La Ringrazio per tutto quello che Ella ha fatto in oltre 70 anni di vita spesa per l'Italia.

L'agguato di NETTUNO

Il mio pensiero

Quanto avvenuto non può essere considerato solo conseguenza di irresponsabilità giovanile alla ricerca dello sballo.

Dare fuoco ad una persona è inconcepibile ed assurdo, e fra l'altro è molto più colpevole di chi commette una rapina per mancanza di soldi per vivere o per averne di più per fare la bella vita.

Chi brucia un'uomo non è degno di essere chiamato uomo, non può accampare nessuna scusante, neppure la droga, perché chi si droga sa che può commettere un delitto.

Chi si droga e guida un'auto è molto più colpevole di chi spara con una pistola con la quale potrebbe sbagliare a colpire il bersaglio, mentre chi guida un'auto è come se sparasse con un bazzuca od un cannone contro una persona che sta a qualche metro.

Chi poi versa della benzina su un povero Uomo indifeso, buono da non fare male ad una mosca come sono gli Indiani, disteso su una panchina a cercare di addormentarsi nella speranza di dimenticare spasmi di fame e brividi eterni di freddo, cercando di ripararsi con un cartone, è peggio che sparare con un cannone.

E poi non c'è nessuna attenuante, perché una tanica di benzina non la si porta legata alla cintola come una pistola, che colui che la porta estrae per difendersi, una tanica la si deve riempire per forza con l'intenzione di fare quello che si è poi fatto, e non è facile averla ad un distributore. Poi dopo che si è cosparsa la vittima gli si da fuoco volutamente accanitamente.

Che dire poi dell'aggravante di essere in tanti contro un'inerme indifeso che annebbiato ed indebolito dal freddo e dalla fame è circondato da un branco di assassini assetati di sangue.

Né è accampabile l'attenuante di essere incensurati, che potrebbe valere per un fatto fortuito e non estremamente volontario come è questo, né il fatto di essere di buona famiglia, perché la famiglia non la vogliamo colpevolizzare, quando queste cose dipendono al 90% dall'insieme degli insegnamenti che vengono da un mondo fatto di immagini ed esempi di arroganza, violenza, sopraffazione, arrivismo scaltro e furbesco, delitti, soprusi, violenze gratuite come questa.

Nossignore costoro si meritano l'ergastolo per quello che hanno fatto, ovvero tentato omicidio volontario a scopo di persecuzione e divertimento, ergastolo anche per le immense sofferenze che procurano a quel Povero Indiano, che se si salverà resterà sfigurato e invalido per tutta la vita, non potrà più riprendere sembianze umane, e nessuno più gli ridarà lavoro, moglie, figli, famiglia.

Ecco perché costoro si meritano l'ergastolo, per quanto hanno già fatto e per quante sofferenze non più rimarginabili procureranno ancora.

Questo non significa che non potranno pentirsi, ma prima di tutto davanti a Dio dovranno pentirsi la coscienza, poi dopo trent'anni, forse se pentiti veramente, la giustizia potrebbe riesumare il caso della loro colpe, eventualmente riabilitarli alla vita civile, sempre però dopo però aver scontato la giusta pena, ma oggi no, in alcun modo, senza scusanti ed attenuanti possono essere perdonati, perché il perdono richiede pentimento serio, ed il pentimento matura con il tempo e la sofferenza.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'agguato di NETTUNO

Quanto avvenuto non può essere considerato solo conseguenza di irresponsabilità giovanile alla ricerca dello sballo.

Dare fuoco ad una persona è inconcepibile ed assurdo, e fra l'altro è molto più colpevole di chi commette una rapina per mancanza di soldi per vivere o per averne di più per fare la bella vita.

Chi brucia un'uomo non è degno di essere chiamato uomo, non può accampare nessuna scusante, neppure la droga, perché chi si droga sa che può commettere un delitto.

Chi si droga e guida un'auto è molto più colpevole di chi spara con una pistola con la quale potrebbe sbagliare a colpire il bersaglio, mentre chi guida un'auto è come se sparasse con un bazzuca od un cannone contro una persona che sta a qualche metro.

Chi poi versa della benzina su un povero Uomo indifeso, buono da non fare male ad una mosca come sono gli Indiani, disteso su una panchina a cercare di addormentarsi nella speranza di dimenticare spasmi di fame e brividi eterni di freddo, cercando di ripararsi con un cartone, è peggio che sparare con un cannone.

E poi non c'è nessuna attenuante, perché una tanica di benzina non la si porta legata alla cintola come una pistola, che colui che la porta estrae per difendersi, una tanica la si deve riempire per forza con l'intenzione di fare quello che si è poi fatto, e non è facile averla ad un distributore. Poi dopo che si è cosparsa la vittima gli si da fuoco volutamente accanitamente.

Che dire poi dell'aggravante di essere in tanti contro un'inerme indifeso che annebbiato ed indebolito dal freddo e dalla fame è circondato da un branco di assassini assetati di sangue.

Né è accampabile l'attenuante di essere incensurati, che potrebbe valere per un fatto fortuito e non estremamente volontario come è questo, né il fatto di essere di buona famiglia, perché la famiglia non la vogliamo colpevolizzare, quando queste cose dipendono al 90% dall'insieme degli insegnamenti che vengono da un mondo fatto di immagini ed esempi di arroganza, violenza, sopraffazione, arrivismo scaltro e furbesco, delitti, soprusi, violenze gratuite come questa.

Nossignore costoro si meritano l'ergastolo per quello che hanno fatto, ovvero tentato omicidio volontario a scopo di persecuzione e divertimento, ergastolo anche per le immense sofferenze che procurano a quel Povero Indiano, che se si salverà resterà sfigurato e invalido per tutta la vita, non potrà più riprendere sembianze umane, e nessuno più gli ridarà lavoro, moglie, figli, famiglia.

Ecco perché costoro si meritano l'ergastolo, per quanto hanno già fatto e per quante sofferenze non più rimarginabili procureranno ancora.

Questo non significa che non potranno pentirsi, ma prima di tutto davanti a Dio dovranno pentirsi la coscienza, poi dopo trent'anni, forse se pentiti veramente, la giustizia potrebbe riesumare il caso della loro colpe, eventualmente riabilitarli alla vita civile, sempre però dopo però aver scontato la giusta pena, ma oggi no, in alcun modo, senza scusanti ed attenuanti possono essere perdonati, perché il perdono richiede pentimento serio, ed il pentimento matura con il tempo e la sofferenza.

Per. Ind. Giacomo Dalessandro